Ogni tanto é giusto fermarsi per guardarsi intorno e indietro, cercando di interpretare i segni lasciati durante il cammino. Quale occasione migliore del 5° anniversario del Bike to work day romano (B2WD). Dal 2010 il sottoscritto insieme a uno sparuto gruppo di "pionieri" di questo tipo di evento, sulla scia dell' esperienza dei nostri amici della baia di San Francisco, ha lanciato l'idea di dedicare una giornata alla mobilità casa lavoro anche nella città di Roma. Una occasione per coinvolgere persone che non utilizzerebbero mai la bici per venire in ufficio e anche per dedicare, insieme a tutti i ciclisti abituali e non, una giornata ad un nuovo tipo di mobilità. (anche se parlando di nuova mobilità mi viene da ridere visto che per i nostri nonni era forse l' unica mobilità che conoscevano per muoversi in città ...). Comunque, dopo 5 anni mi permetto di tirare qualche conclusione assolutamente personale ... Parto proprio dalle sedi lavorative. La figura formale del mobility manager esiste solo sulla carta, poche società, seppur obbligate per legge hanno definito tale ruolo. Pochissime hanno formalizzato un mobility manager ma di fatto solo con un ruolo nominale senza esplicare alcuna attività. Sparute aziende hanno attivato una qualche forma di incentivo alla mobilità, che però spesso si esaurisce in uno sconto di una decina di euro dall' abbonamento annuale. Iniziative solo di facciata di cui fruiscono comunque persone che già fanno uso della mobilità pubblica e che non incidono di una virgola le criticità evidenti sul territorio. E poi ci sono le aziende illuminate, spesso con una direzione che viene dall' estero, che cercano di fare qualcosa di tangibile per i propri dipendenti e per la mobilità cittadina. Però queste aziende si trovano invischiate in burocrazia, mancanza di un effetto rete tra aziende degli stessi quadranti cittadini e di fatto abbandonate a se stesse dalla realtà pubblica (comune, stato, ...) che dovrebbero coordinare e guidare. Un grosso freno per le aziende poi é la mancanza di chiarezza legislativa in merito all' infortunio in itinere. I mobility manager e le aziende in generale sono poco propense a incentivare l'uso di un mezzo per la mobilità casa lavoro che però non ha una approvazione formale e istituzionale. Tanto più le aziende sono restie ad autorizzare eventi come il bike to work dove i possibili problemi e vincoli burocratici e di sicurezza sono infiniti( cosa accade se un ciclista cade o danneggia qualcosa? É solo un ciclista o anche un lavoratore?). Ci si trova in una terra di nessuno che crea una situazione di stallo dove tutti gli attori in gioco sono spinti a non fare passi in avanti. Altro punto critico é il parcheggio sicuro della bici, in particolare per bici di un certo valore e con parti delicate. La sicurezza aziendale crea non pochi ostacoli alla definizione di spazi riservati interni, dovendosi di fatto prendere in carico la sorveglianza dei mezzi o la verifica che nelle fasi di parcheggio o di passaggio in zone interne non si arrechino danni a persone o cose. Per non parlare poi del fatto che le aziende non avendo ben chiaro quale possa essere il loro vantaggio sono poco propense a sprecare spazi o investire dei soldi per definire delle infrastrutture utili: parcheggi, stalli, spogliatoi, armadietti, ... Una leva per smuovere le aziende potrebbe essere la visibilità che tali interventi gli potrebbero portare in termini pubblicità, presentazione verso la clientela, ecc. Ma lo spostamento casa lavoro é ancora percepito come qualcosa che compete più alla sfera privata che non aziendale. Per non parlare poi delle testate giornalistiche che sono ancora troppo affezionate solo a eventi mediatici tipo giri del mondo in bici e gite domenicali che non alla vera e propria mobilità quotidiana. Inoltre sul territorio del comune di roma insistono numerosissime pubbliche amministrazioni locali e centrali, che un po per resistenza al nuovo e un po per mancanza di fondi sono di fatto un muro di gomma rispetto all' incentivazione dell' uso della bicicletta. Il tema della sicurezza poi é il punto cruciale che frena maggiormente il ciclista non abituale a salire in sella nei percorsi casa lavoro. Su questo tema possiamo parlare di due livelli di attenzione: la sicurezza reale e quella percepita. La sicurezza reale é in larga parte responsabilità delle istituzioni(percorsi ciclabili protetti, piste ciclabili, zone con velocità moderata, ecc.) ma un grosso peso ce l'hanno anche i cittadini ciclisti e non. Resistenza all'uso abituale del casco, all' uso di giubbini o gilet ad alta visibilità notturna e diurna, illuminazione del veicolo notturna, fino ad arrivare a tutti quegli accorgimenti che per i nostri nonni erano scontati (ferma pantaloni, ecc.). Ora alcuni degli accorgimenti sopra menzionati fanno riferimento alla sfera personale e culturale e non essendo obblighi possono lasciare libero chi sale in sella di decidere(ovviamente altro discorso vale per il non rispetto del CdS), mentre per la sfera istituzionale si tratta in alcuni casi di scarsa lungimiranza verso i desiderata dei cittadini ma in molti casi di reale incuria e omissione di responsabilità. Le piste ciclabili sono costruite spesso nel non rispetto delle specifiche minime di sicurezza o molto spesso trattasi non di piste ciclabili ma di percorsi ciclo pedonali, realizzate quasi sempre dipingendo strisce bianche sopra a marciapiedi. Lasciando al cittadino il compito di sopravvivere e auto gestirsi in mezzo ai mille problemi che si ingenerano dalla convivenza coatta. Bambini che giustamente passeggiano su questi percorsi vicino a bici da corsa, o persone sulle pieghevoli in precario equilibrio che devono zig zagare fra cani tenuti da guinzagli lunghi decine di metri... per non parlare delle velocità estreme che raggiungono le bici elettriche. Queste non sono infrastrutture per la mobilità ma solo percorsi per passeggiate domenicali. Fossero almeno manutenute con attenzione, e invece questa terra di nessuno dopo qualche anno diviene far west: strisce scolorite, segnaletica verticale scomparsa o vandalizzata da writers, buche e radici di alberi e per finire le mitiche fronde di alberi dall' alto, rovi e rovine di muretti di lato e le immancabili erbacce da sotto. La segnaletica orizzontale di tutti gli attraversamenti della pseudo pista della colombo sono solo un lontano ricordo, ad ogni rifacimento di strada si perde un tratto di strisce ciclabili e spesso solo google map ha memoria del pregresso. Poi c'é il tema della sicurezza percepita, in massima parte esposta in modo terroristico da giornali e tv. La bici compare solo per descrivere omicidi da parte di auto pirata o per rassicurare il cittadino medio che se vuole andare in bici il modo c'é ! Chiudersi nei parchi verdi...considerati riserve indiane dove il ciclistica urbano possa sfogare i suoi istinti muscolari. Sono cinque anni che percorro il tratto tuscolana - eur nulla é cambiato. Solo il degrado é avanzato. Solo la volontà personale spinge me e altri a muoversi pedalando. Anni di piani strategici, piani quadro, ... Solo piani rimasti sulla carta e spesso decontestualizzati dalla realtà e dal territorio. Manca ancora una cabina di regia sui programmi e sugli interventi. Manca un coordinamento tra i responsabili delle varie anime che governano il territorio. Manca un obbiettivo comune, con strategie reali a breve, medio e lungo termine. Manca la volontà di pestare i piedi a automobilisti, motociclisti (ovviamente in modo amichevole ;-)) per arrivare a realizzare qualcosa per il bene comune. Marino é passato un anno dall' elezione del sindaco ciclista...questa é l'ultima occasione che hai per fare qualcosa di concreto entro il mandato, parafrasando Nanni, dì qualcosa da ciclista!!!
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